Questo che vedete nella foto è un sigaro Toscano
Classico. Al contrario di quello che possiate pensare, ai miei occhi è tutto
fuorché un sigaro; non per la sua forma innaturale o per le evidenti
condizioni, bensì per la vera entità che questo semplice oggetto possiede.
Lasciatemi spiegare.
Qualche
giorno fa, rovistando nell'armadio per dei vecchi pantaloni, ne ritrovai un
paio che utilizzavo più di un anno fa per lavorare in cantieri archeologici.
Riprovandoli, sentii un oggetto nella tasca destra, situata poco al disopra del
ginocchio. Dopo aver allungato la mano, e afferrando tale oggetto, mi resi
conto che si trattava di un ex-Toscano Classico, oramai ‘deceduto’ (termine non
casuale) dopo esser stato lavato in lavatrice e aver collezionato polvere.
Sarà per
deformazione professionale, ma appena afferrato ed osservato l’oggetto, mi
venne subito spontaneo esaminarlo come fosse uno dei tanti reperti archeologici
ritrovati nel terreno; un oggetto di passati remoti, entità esistente non solo
nella sua forma, ma anche e sopratutto nella sua esistenza astratta. La forma
storta ed il cellophane molto ingiallito non mi diede subito l’impressione di
un sigaro, trovandosi fuori dai canoni comuni dettati dai produttori e
consumatori. Il tempo lo aveva reso secco e leggero, il cellophane
scricchiolava, ed il fango depositato sulle pareti proveniente da chissà quale
scavo lo rendeva ai miei occhi orripilante e affascinante allo stesso tempo. La
visione e reazione tattile a tale oggetto mi riportò subito alla memoria tutte
le pause passate in campi remoti delle campagne inglesi, a combattere con venti
freddi e piogge incessanti, cercando di tener accesso il toscano fra le labbra,
che prontamente proteggevo con le mani. Quel singolo sigaro deformato mi
ricordava il gusto del Kentucky misto a polvere, fango e sudore. Per quanto in
quegli scavi fumassi sigari diversi l’un dall'altro, il gusto era sempre lo
stesso, inalterato dall'ambiente che mi circondava. Quel che vedevo e sentivo
da quel povero sigaro non era un sigaro, ma il ricordo di esperienze fatte grazie a quel sigaro.
Questo era
il primo pensiero che mi passò per la testa appena ritrovato il reperto. Ora,
dopo averlo tenuto dopo qualche giorno sulla mia scrivania, osservandolo e
rimuginandoci su, vorrei sfidarvi. Fino a quale punto si può distorcere e
modificare il concetto che oramai si dà ai nostri beneamati sigari, portandone
il significato su piani di realtà diversi dal pensiero comune?
Nel mondo
della teoria antropologica e archeologica esiste un campo dedicato allo studio
della cultura materiale, ove si analizzano i materiali e si interpretano le
loro biografie ed i loro significati. Senza annoiarvi troppo su tali quisquilie
che interessano solo a pochi 'sgobboni' (ahimè), in parole povere si può dire che
il fulcro dello studio dei materiali si basa sul concetto di materialità.
Riguardo questo concetto esistono due principali linee di pensiero del mondo
accademico: la prima sviluppata da Tim Ingold, che sottolinea l’importanza
della vita dei materiali, dove la materialità è un modo di vedere le “cose in
vita”, e non la “vita nelle cose”. Questo fa si che gli oggetti diventino parte di
una grande catena astratta, facente parte di un network d’azione globale. La
seconda linea di pensiero è stata sviluppata dall'archeologo Christopher
Tilley, il quale spiega che gli oggetti sono semplici ‘metafore’ della nostra vita,
rappresentazione materiale di ciò che facciamo e pensiamo. Anche se potrebbero
sembrare pensieri comuni su un concetto molto astratto, tali pensieri sono profondamente
diversi. Fortunatamente ciò che interessa a noi in questo caso non è creare una
nuova teoria sulla materialità, bensì capire come questo pensiero critico ci
possa aiutare a comprendere realmente fino a che punto un sigaro è un “sigaro”.
Da ciò possiamo trarre la conclusione che la materialità è semplicemente la storia, intesa come fisica e astratta identità di un oggetto stressando il
fatto che gli oggetti sono in continua formazione.
Ed è
proprio questa formazione che a noi interessa. Per formazione gli accademici
intendono il ruolo e mutazione che un oggetto ha all'interno della sua sfera di
scambio e movimento. L’antropologo Arjun Appadurai ha discusso estensivamente
questo tema, e definisce comodità ciò che noi potremmo concepire come semplici
“oggetti”. Per comodità non si intende un oggetto di lusso o superfluo, ma un
oggetto con un valore economico, perciò alienabile, in grado di esser ceduto o
venduto. Appadurai descrive le comodità non come oggetti fisici, ma come
‘relazioni sociali inserite in un oggetto’.
Prendendo
questi spunti teorici e applicandoli al mondo del fumo lento, potremmo fare
molte osservazioni, e discuterne estensivamente anche per giorni. Lascerò tale
possibilità a chi ne è affascinato ed interessato, per ora invece torneremo al reperto di cui abbiamo discusso poco prima. Avendo adesso una comprensione
più profonda di cosa vuol dire “oggetto” e “materialità”, possiamo fare varie
osservazioni su questo strano ma intrigante sigaro. Il mio parere è che ciò che
possiamo vedere nella foto, come già detto prima, non è affatto un sigaro.
Personalmente è diventato una rappresentazione fisica di momenti del mio
passato, dove il sigaro mi accompagnava e mi faceva compagnia, mi riporta alla
mente scene, ambienti e situazioni. Questo “sigaro” è diventato una
rappresentazione fisica di un ricordo, un sentimento astratto che rientra nel
mio network personale di esperienze e di ciò che io considero la mia vita. Come
dice Ingold, le comodità sono oggetti in formazioni, hanno una loro biografia e
quindi una loro evoluzione. Questa particolare comodità era un tempo un sigaro,
con una funzione ben specifica (la fruizione via combustione, assunzione di
nicotina, godimento sensoriale ed ambientale...), durante l’anno intero che si
trovava nella tasca dei pantaloni era diventato un ricordo perduto senza alcuna
esistenza fisica, ed ora che si trova sulla mia scrivania è diventato un
ricordo di esperienze passate.
Per
concludere lascio a voi questa ultima immagine. Non voglio discuterne o
analizzarla, lascerò questo lavoro a voi e a come meglio credete, poiché è solo
un punto di inizio verso la comprensione della bellezza ed il fascino che
oltrepassa i normali parametri di espressione. Applicando un pensiero teorico
ed astratto come quello che vi ho presentato in questo articolo sono sicuro che
riuscirete ad apprezzare ancor di più la vostra passione, scoprendo cose nuove
ed inaspettate.
Per chi
fosse interessato, questa è una piccola bibliografia dei testi fondamentali
sulla cultura materiale:
Appadurai, A. (1986). The Social life of Things.
Commodities in Cultural Perspective. CUP.
Hicks, D., & Beaudry, M. C. (Eds.). (2010). The
Oxford handbook of material culture studies. OUP Oxford.
Ingold, T. (2000). The perception of the environment:
essays on livelihood, dwelling and skill. Psychology Press.
Ingold, T. (2007). Materials against materiality.
Archaeological dialogues, 14(01), 1-16.
Kopytoff, I., (1986). The cultural biography of
things: commoditisation as process, in A. Appadurai (ed.), The Social Life of
Things.pp. 64-91. Cambridge: CUP.
Miller, D. (2005). Materiality. Duke University Press
Tilley, C. (Eds.). (2006). Handbook of material
culture. London: Sage.
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