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il contenuto del blog è rivolto a fumatori maggiorenni e consapevoli, che vogliono condividere la cultura legata al mondo del sigaro, non si vuole in alcun modo promuovere l'uso di tabacco. Si ricorda che in ogni sua forma, IL FUMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

07 ottobre 2015

Also Sprach Molinari - Seconda Parte

Continuiamo con la seconda ed ultima parte dell'intervista ad Andrea Giovanni Molinari, colui che veramente ha introdotto il fumo lento in Italia. Abbiamo già spiegato il suo lavoro capillare che ha permesso l'arrivo nel nostro Paese di almeno trecento vitolas, laddove ce n'erano appena quattro.
Abbiamo già ripercorso i passi che da membro dell'aviazione civile, l'hanno visto protagonista indiscusso del mondo associazionistico sigarofilo, e poi dell'importazione di puros.
Abbiamo rese note le amicizie che lo hanno da sempre sostenuto ed accompagnato nella creazione di ONEOFF, Due Mondi e il mitico Cañonazo.
Insomma, le conclusioni non possono che essere notevoli. Ma non è tutto, perché, per quanto riguarda la seconda parte, abbiamo deciso di riservare tutti i consigli puramente tecnici, come la conservazione dei sigari, la loro produzione, la lavorazione che si nasconde dietro. Ma ancora, i consigli ai neofiti, la degustazione che lui stesso ha "introdotto" come la intendiamo oggi, ed una rivelazione interessante, sincera e divertente riguardo alle nuove uscite.
Talvolta il linguaggio può essere colorito e confidenziale, ma è stato lo stesso Molinari
a non voler apportare modifiche di sorta a quanto detto, questo per sottolineare che tipo di persona abbiamo di fronte: pura, sincera e lontana da manierismi che non gli appartengono. E noi di CigarBlog non possiamo che esserne lieti e lasciargli carta bianca, nella più totale libertà di espressione.

Riportiamo, inoltre, il link della prima parte dell'intervista, per completezza nei confronti di chi se la fosse persa o, cosa che consigliamo vivamente, per chi volesse rileggersi la stessa, o andare ad integrare quanto scritto di sotto. La potete trovare qui.

Luca Dominianni per CigarBlog (C.B.) – Abbiamo parlato tanto del torcedor, e di quelli che hanno lavorato con te ne hai parlato benissimo. Ma come deve lavorare un buon rollatore?
Andrea Molinari (A.G.M.) – Guardando le loro mani, si nota subito che hanno polpastrelli lisci – quasi senza impronte digitali – e unghie sempre lucide. Questo già ci indica che lavorano molto di punta, e mai di unghie.
Vederli lavorare ricorda molto i gioiellieri di Van Cleef, ma la loro bravura si nota soprattutto dalle tecniche che utilizzano.
Un torcedor al lavoro
- il formato Empalmado è quello meno pregiato, dove le foglie di seco, volado e ligero si sovrappongono una sull’altra e il tutto viene arrotolato. Un torcedor “veloce” può arrivare a produrne 500 al giorno;
 il Plisado ha una qualità alta, dove le foglie vengono piegate su loro stesse a soffietto. Se ne possono realizzare fino a 200 al giorno;
-   l’Entubado è in assoluto l’eccellenza, perché composto da tanti piccoli “tubicini” di foglie, unite poi insieme. Non si riescono a superare i 20-25 elementi al giorno.
Bisognerebbe prediligere gli Entubado, e questo è senz’altro il miglior metodo in assoluto, ma, ahinoi, in totale estinzione a seguito del cambio generazionale dei torcedores. Già da tempo la quantità è diventata, per molti, più importante della qualità.
Entro 10 anni i fumatori avranno a disposizione degli ottimi sigari arrotolati col metodo Plisado, ma nulla di più.

C.B. – Quali sono le caratteristiche che deve avere un sigaro per essere davvero buono?
A.G.M. – Come un grande chef, chi lavora i sigari deve partire da una materia prima eccellente e fare attenzione a non rovinarla nei passaggi di lavoro. Quando si parte da un tabacco perfetto, solo una cattiva lavorazione può inficiare la qualità del prodotto finale, il sigaro, appunto.
Tra l’altro la foglia dovrebbe essere il più possibile naturale, organica, cioè senza additivi chimici: non dimentichiamoci che questo “signore”, il sigaro, lo teniamo tra le nostre labbra, tra i nostri denti per quasi tutto il tempo della fumata. E se chimica contiene, noi, tramite le labbra, le gengive, la lingua eccetera, assorbiamo chimica, che con il calore sviluppato dall'accensione si può trasformare in una miriade di effetti collaterali dannosi alla nostra salute.

Molinari in compagnia di Carlito Gassiot
Sfatiamo un falso mito tutto nord-americano: "la cenere più è bianca e più il tabacco è pregiato". La cenere bianca indica un eccesso di potassio nel terreno. Se le foglie sono state coltivate in un terreno naturalmente ricco di potassio non è un problema, ma per soddisfare i consumatori ignoranti (e credimi Luchè, il 90% è assolutamente poco “acculturato”) oggi il terreno si “fertilizza” con molti additivi la cui natura è assai poco naturale…
Ma, santo cielo! “Cenere” in spagnolo si dice “ceniza”. Sai quale termine si utilizza in spagnolo per indicare il colore “grigio”? “CENIZO”, che deriva da “ceniza”, che sta ad indicare che è appunto il colore più naturale della cenere!
E’ un po’ come la fanta-storia che la fascia esterna chiara indica un sigaro “mild”, mentre se è scura allora il sigaro è forte: quanta disinformazione, quante balle…

C.B. – Quali passaggi sono fondamentali per realizzare un buon sigaro? Quali non devono assolutamente mancare? E quali stanno sacrificando, per economia, negli ultimi anni?
A.G.M. – Il primo passaggio è senza dubbio la coltivazione del tabacco: tenere in considerazione le caratteristiche fisico-chimiche del terreno, la presenza di eventuali altre coltivazioni limitrofe (caffè e cacao in particolare), e da quanto il terreno stesso non è stato seminato e coltivato con qualsiasi altro vegetale, comprese le varie rotazioni annuali di non coltura per ossigenazione. Inoltre, un’ottima materia prima, come già detto, non prevedrebbe l’uso di pesticidi e anticrittogamici. Costerebbe di più, ma preferisco la salute.
Foglie di tabacco durante la prima parte della stagionatura
Il secondo passaggio risiede nella stagionatura delle foglie su pali allineati orizzontalmente all’interno delle cosiddette “casas del tabaco”, dove vengono appese distaccate le une dalle altre (il classico metodo cubano) in attesa che diventino “marroni” e possano cosi’ passare alla seconda fase di stagionatura, raccolte in grandi ammassi a forma di cubi e aperte e girate più volte alla settimana. Purtroppo, fuori dalla “perla dei Caraibi” c’è la pessima abitudine di stenderle su corde tirate, ma il peso le fa tendere verso il centro della fune che flette, formando una sagoma a “ventre”, e così il tabacco in mezzo si raccoglie tutto assieme, fatica a respirare, e ammuffisce leggermente: quel sentore di muffa non lo perderà più!
Il terzo passaggio consiste nel sapere perfettamente quanto debba stagionare quel tabacco, specie se a più riprese. Questo lavoro esalta le caratteristiche del sigaro, ma ovviamente non risolve problemi di qualità precedenti: il tutto deve essere incorniciato da una sapiente cura finale in un ambiente con aria a temperatura e umidità relativa controllate.
Quello che ultimamente si è smesso di fare, è la stagionatura corretta. Per vendere di più, si arrotola prima.
C’è da dire, però, che nel mondo del fumo lento gli effetti della produzione si notano qualche anno dopo. Staremo a vedere.

C.B. – Qual è il metodo ottimale per conservare un sigaro?
A.G.M. – Esistono due correnti di pensiero.
- Quella TRADIZIONALE - Si tiene il sigaro ad una temperatura di 17°C e una UR del 70% circa. Un mese prima di fumarlo, lo si preleva dallo humidor “principale”, e lo si mette in un altro, a 20°C e 65% UR.

Purtroppo, è raro che la temperatura rimanga costante, e se nel secondo step supera i 20°C, si può formare il bicho. L’unica soluzione, a quel punto, sarebbe la crioterapia (surgelamento), ma questo bloccherebbe la maturazione del prodotto e non si svilupperebbero ottimamente gli oli essenziali.
- Quella SOTTOVUOTO - Il vuoto fa esplodere definitivamente le micro-uova di fermentazione, evitando cosi’ lo schiudersi del bicho. Qui, però saremo in presenza di due bellissime conseguenze, per me, positive: dopo il trattamento “sottovuoto”, diciamo dopo un giorno, si toglie il sigaro dal sottovuoto e lo si ripone normalmente nello humidor per farlo cosi’ maturare col tempo; ovvero, lo si mantiene sottovuoto per mesi, anni, anche oltre i dieci, e quando lo si toglie dal sottovuoto la grande sorpresa: il sigaro è rimasto intatto cosi’ come al momento di quando lo abbiamo messo in trattamento! Allora, Luchè, se vuoi fumare un sigaro “novello” anche dopo 10 anni, mettilo e mantienilo sottovuoto!

C.B. – Quando  bisognerebbe fumarlo, dopo la conservazione?
A.G.M. – Il sigaro o lo si fuma appena fatto, oppure dopo minimo 3 anni, almeno per i caraibici. I sapori e gli aromi sono molto differenti, ma in entrambi i casi abbiamo qualcosa di spettacolare. Sconsiglio vivamente, per quanto mi riguarda, conservazioni intermedie come quelle di 6-12 mesi. Consiglio caldamente, invece, quelle pari o superiori a 5 anni.

C.B. – Per poter apprezzare fino in fondo un sigaro, quali passaggi bisogna compiere? Quale deve essere l’approccio?
A.G.M. – Non ci può essere una risposta in assoluto, e, credo fermamente, nemmeno una scuola di pensiero. E’ una questione troppo personale. E, per me, non c’è nemmeno una sola bevanda giusta da accompagnarlo: della serie “il solito, grazie”. Dipende dallo stato d’animo, dal momento, dall'atmosfera, dalla compagnia. Sono troppi i fattori che ti fanno scegliere cosa bere e quando, assieme, poi, a “quel sigaro”.
Ricordo che un mio carissimo amico e collega inglese, grande amante dei sigari cubani, era appena stato operato per un cancro allo stomaco. Graziato dai medici con la concessione di potersi godere un sigaro a settimana, non potendo in alcun modo fare uso di alcolici, trovava un gran gusto, per accompagnare il sigaro con un drink, pensate un po’… nella spremuta di arance!

C.B. – Cosa si intende per degustazione di un sigaro? Dovevo farti questa domanda: l’hai inventata te!
A.G.M. – Io non ho inventato proprio nulla, Luca. Diciamo che è stato Davidoff ad aver avuto una grande intuizione: diede il nome di grandi vini francesi ai “suoi” cubani. Giustamente considerava simili gli iter produttivi di vini e sigari, dalla semina alla raccolta, dalla fermentazione alla
lavorazione ed infine alla confezionatura per la vendita. Davidoff il Grande ricordava a tutti che lo stesso tabacco è anche implicato nella realizzazione di fragranze per profumi, per cui esistono in entrambe le tipologie di prodotti, sigari e vini, tutte le serie di aromi, sapori e via dicendo. Per carità, è verissimo.
Ma sono comunque troppo specifici, lontani ma vicini, e sarebbe una semplificazione troppo approssimativa considerare gli stessi metri di giudizio per valutarli. In quel preciso frangente ho compreso la necessità di un nuovo “metro”, quello della mia scheda di degustazione dei sigari. Esiste il tabacco buono, quello cattivo, quello costruito bene o male, quello con una stagionatura limitata o eccessiva. Insomma, le variabili sono troppe per prendere in prestito un altro universo, quello del vino, e non costruire il proprio.
E ripeto, non ho inventato nulla. Stiamo parlando della mia filosofia, del mio modo di pensare la degustazione stessa, modo che ho voluto condividere con chi ho avuto vicino, fisicamente o tramite i miei libri.

C.B. – Qual è la cosa che hai fatto nel mondo dei sigari per la quale sei più orgoglioso?
A.G.M. – Quella di aver fatto parlare in Italia di fumo lento, aver fatto anche un po’ di didattica, di cultura.
L’ho fatto per passione, per amore di questo mondo. E questo nonostante tutte le difficoltà che ho dovuto attraversare. I già citati casi di Cigair e Casa del Habano, tutte le vicende di invidia e i tentativi di imitazioni vari.
E’ un mondo affascinante, pieno di avventurieri a caccia di quei “quindici minuti di popolarità” dei quali parlava profeticamente Pasolini, quarant’anni fa.

C.B. – Quali sono state le resistenze che hai incontrato e che, talvolta, ti hanno fatto demordere?
A.G.M. – Innanzitutto i giudizi sui miei investimenti. Sono sempre stato trasparente, e investivo i bonus ufficialmente riconosciuti che prendevo dalla mia compagnia aerea, per gli ottimi risultati che portavo a casa.
Ma le difficoltà più grandi le ho incontrate con i cosiddetti yes-men, quelle simpatiche figure buone solo a dire “sì” al superiore di turno per il solo scopo di compiacere. Questo portava al tanto famoso “leccaculismo” e aumentava l’ignoranza. Tanta ignoranza.
A Cuba, ad esempio, il declino della qualità dei sigari è cominciato quando ad Habanos sono entrati i burocrati, che vedevano il sigaro come un business multinazionale, e non come un simbolo nazionale da divulgare nel mondo nel miglior modo possibile: il SIGARO CUBANO è il più importante AMBASCIATORE DI CUBA NEL MONDO!

C.B. – Un accenno all'associazionismo nazionale e di nuovo a Diadema, in questo senso? Ma anche ai tuoi “amati” funzionari cubani sotto Castro.
A.G.M. – Io non ho mai venduto il culo, per nessuna ragione e a nessuno. Quando ospitavo in Italia a mie spese Don Alejandro Robaina, alcuni avventori del CIGAIR lo prendevano e lo portavano in giro, a fargli stringere mani, a fare cene nella Pianura Padana o dalle parti dei Campi Flegrei: tu pensi che contribuissero alle spese dei biglietti aerei da Cuba all’Italia e viceversa, o a quelle alberghiere qui a Milano o, che dico, pensavano ad invitarmi agli eventi organizzati, di fatto, a umma-umma? Io lo avevo fatto venire per i miei progetti, ma quando il Grande Vecchio mi chiedeva : ”Molinares, tu amigos italianos me envitaron a una cena en Bologna y despues en Napoli: puedo ir?” Che gli rispondevo? “No, sei mio prigioniero?”: ma figurati!  Cosa penso di tanti personaggi che, nelle foto con Don Alejandro, ancora portano lo sfondo delle mura, dei quadri, delle chitarre vintage e dei divani di CIGAIR?: pezzenti (sia chiaro, nel significato lessicale che viene dal latino “petere”, che significa “chiedere per ottenere”).

Molinari in confidenza con Don Alejandro Robaina
Per quanto riguarda i funzionari castristi, i discorsi di prima rimangono validi. Gli incompetenti che erano arrivati facevano rimpiangere i grandi geni di appena qualche tempo prima. Mi chiedo tuttora come Andrea Vincenzi sia riuscito a resistere, ma ogni volta mi rispondo che lui è più forte di quella gente.
Ma aggiungiamo una categoria se vuoi, una categoria che sopporto veramente a fatica. Quella di tutti i politici, burocrati e tecnocrati, che ho incontrato nella mia carriera.
Mi ricordo una volta che per il mio lavoro da manager dell’aviazione civile, assunsi a Cuba dieci bravissimi ingegneri aereonautici. Gli stavamo pagando tutti i corsi italiani, comprensivi delle certificazioni, per poter operare manutenzioni sui Boeing americani. Qualche tempo dopo, l’Ambasciatore americano in Italia mi fece contattare, e mi disse che tutto ciò andava contro “la democrazia che gli USA stavano da anni tentando di riportare a Cuba”. Ero appena stato operato alla schiena, stavo in piedi a fatica, ma il giorno dopo presi l’aereo e lo andai ad incontrare per dirgli il mio punto di vista, e cioè che in tutti gli USA se stai male e non hai un’assicurazione privata o un’American Express Platinum, ti lasciano morire in strada: a Cuba NO. Che in tutti i grandi magazzini degli USA puoi acquistare armi a go-go e fare stragi personali in qualsiasi istante: a Cuba NO! Che in USA se non sei nato in una famiglia benestante le scuole giuste te le puoi dimenticare: a Cuba tutti i cittadini cubani hanno diritto all’istruzione migliore ed il 98% della popolazione è di cultura medio-alta. Di quale “democrazia da ristabilire” avremmo dovuto parlare?
Dopo quell’evento, la stima di Fidel nei miei confronti crebbe, e per darmene dimostrazione mi regalò tre scatole di sigari autografate e con un’anilla speciale: “AGM”. E poi mi fece donare una quantità notevole di tabacco, del 1993, e dall’allora Primo Ministro Carlos Lage, l’autorizzazione per farlo lavorare a Carlito Gassiot.
Non avrebbe potuto farmi dei regali più azzeccati ed apprezzati.

C.B. – Tornassi indietro, cosa cambieresti?
A.G.M. – Nazione di nascita. Essere avanti e non avere padroni qui è stato ed è come portarsi addosso un “peccato originale”.

C.B. – Ti viene data la possibilità di rivivere un sigaro che hai fumato. Rimangono inalterati tutti i fattori di quell’esperienza (luogo, tempo, compagnia, amicizie, amori, ecc.). Quale sceglieresti?
A.G.M. – Anche questa la conoscono in pochi. I sigari che mi hanno regalato esperienze catartiche sono stati un discreto numero. Ma dovendone sceglierne solo uno, opto per quello fumato con colui che sarebbe diventato il boss dell’aviazione civile cubana.
Ero andato a chiedere i diritti di traffico per poter volare sull’isola per la mia Lauda-Air, perché’ volevamo a tutti i costi quella destinazione. Quel signore si chiamava (e si chiama) Argimiro Ojeda, e all’epoca era vice-presidente dell’ “Istituto de Aeronautica Civil de Cuba” l’equivalente del nostro “Ente Nazionale per l’Aviazione Civile”. Ad un certo punto, si girò e mi chiese se fumassi. Aprì una scatola di Cohiba Lanceros da 50, riservati esclusivamente ai Diplomatici in visita a Fidel Castro, e quindi non erano ancora commerciali, perché nel 1991 la fabbrica “El Laguito” produceva, ancora per poco, in esclusiva per il marchio. Onorato del gesto, tentai di rifiutare perché avevo un terribile mal di gola. Chiuse di scatto il coperchio, e mi disse testualmente: “No Puro, No Derechos!” (Niente sigaro, niente diritti!). Ovviamente, dimenticai il mal di gola, mi feci coraggio e lo accesi.
E di quel sigaro mi è rimasto il tatuaggio sul palato! Un ricordo indelebile. Sicuramente uno dei più buoni di sempre, ma soprattutto quello che mi ha dato maggiori soddisfazioni.

C.B. – Cosa ne pensi delle nuove realtà che si affacciano sul mercato del tabacco arrotolato?
A.G.M. – Vedi Luca, il 26 settembre ho compiuto 60 anni. Si vede che sto invecchiando, perché dei nuovi modelli non me ne frega più un cazzo.
Il sigaro mi accompagna tutta la giornata per farmi ragionare. Mi aiuta a non sfanculare il mondo. Essendo l’elemento che mi deve dare lucidità, non faccio più grandi esperimenti. Ormai ho i miei gusti, che si stanno affinando, ma soprattutto rafforzando. Sono già alcuni anni che ho la necessità di andare sul sicuro, di continuare a fumare quello che mi piace e mi è sempre piaciuto.
Tutti i miei sigari sono “anziani”, molti sono fuori produzione, ma ho stipato bene i miei sei humidors da 1000 sigari l’uno di capienza. E così facendo non dovrei avere problemi di scorta.
Poi senz’altro ci sto attento, se trovo delle novità le acquisto, ma oramai non sono più adatto per modificare i miei gusti. Fumo i nuovi modelli quasi senza pensarci, e nessuno al momento è riuscito a spodestare altri puros che, già da molti anni, sono diventati i miei.
E’ proprio un fatto di mentalità, ormai ho i miei gusti, le mie vitolas. E’ un mio difetto, ma non voglio rinunciarci. Ripeto, voglio andare sul sicuro.

Il Sommo Zino Davidoff
C.B. – Quali sono i consigli che ti senti di dare ad un neofita?
A.G.M. – La cosa più importante, all'inizio, è quella di farsi guidare da una persona di cui ci si fida. E’ imprescindibile questo passaggio. Si ha bisogno di un mentore, e questo lo dico per esperienza personale: ho già fatto questo iter, sia da “alunno” che da “maestro”.
Il secondo passaggio, per radicare la passione del fumo lento, è quello di farsi un minimo di cultura, leggendo dei libri specializzati. Occorre variare gli autori, ma possibilmente evitare i trattati dei giornalisti, scegliendo sempre quelli scritti dagli esperti, perché ottimi addetti ai lavori.
Ultimo ma non ultimo, è necessario leggere qualsiasi cosa di Zino Davidoff, perché con lui se sono rose fioriranno. Se esistono i presupposti per fare qualcosa di meraviglioso, lo si scopre leggendolo, cercando di apprendere la gioia che il mondo del sigaro gli regalava. Il vero “Signore degli Anelli” è proprio lui. Zino Davidoff.

C.B. – Andrea, grazie di cuore per questa intervista, a nome dei nostri lettori e di CigarBlog.
A.G.M. – Grazie a voi. E’ stato un piacere. E, mi raccomando: keep-on-fighting!

1 commento:

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