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il contenuto del blog è rivolto a fumatori maggiorenni e consapevoli, che vogliono condividere la cultura legata al mondo del sigaro, non si vuole in alcun modo promuovere l'uso di tabacco. Si ricorda che in ogni sua forma, IL FUMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

09 luglio 2012

«Doge», il sigaro della Serenissima In produzione 150mila pezzi

Dopo secoli di clandestinità, il consorzio tabacchicoltori del Grappa commercializzerà lo storico «blend». Sulla scatola il Leone di San Marco.

Perderà forse il gusto del proibito che ha avuto per quasi cinque secoli, ma finalmente avrà la dignità che si merita anche fuori dai confini del Veneto: l’antico sigaro nostrano, grazie a un accordo siglato dal consorzio Tabacchicoltori del Monte Grappa con Manifatture Sigaro Toscano, sarà disponibile nelle tabaccherie del nordest a partire da settembre e nel resto d’Italia Italia a partire dall’inverno. Il prodotto avrà un nome evocativo («Doge»), sarà prodotto interamente a mano in 150mila esemplari e avrà, come richiesto dal governatore Luca Zaia, un packaging d’alta classe che rappresenti l’origine veneta. Ma più che i numeri, ancora relativamente piccoli (fanno parte del consorzio circa un centinaio di agricoltori per un totale di circa 30mila quintali annui di produzione, ma di questi solo 2-3mila sono del tipo usato la lavorazione «nostrana»), a colpire è la storia del sigaro del Brenta.
Una storia fatta di clandestinità e contrabbando, di decreti serenissimi e imperiali: lungo uno dei fiumi più significativi del territorio, da Valstagna a Campese di Bassano del Grappa, i sigari si cominciano a produrre già nel tardo 500, a un secolo dall’importazione in Europa della pianta di tabacco (all’epoca chiamata erba regina). Soltanto nel 1763, quasi due secoli più tardi, i rappresentanti della Repubblica concessero tuttavia il privilegio agli agricoltori di coltivarlo legalmente. Il sigaro nostrano, antenato di quello che sarà il «Doge», è però già conosciuto, tanto che si hanno testimonianze che parlano di sigari fumati dai signori veneziani già nel 1677. Nei secoli successivi la comunità del Canal di Brenta, colpita da pesantissime carestie, ha fatto di necessità virtù: proibiti prima dalla Repubblica, quindi da Vienna e infine dai finanzieri italiani per motivi «fiscali », i sigari nostrani non esistevano ufficialmente ma li fumava tutto il Veneto, grazie a una rete capillare di contrabbando che partiva da Bassano e raggiungeva, di mano in mano, gli angoli più remoti della regione.
Questo per 249 anni, fino a che, nel 1939 sedici agricoltori costituiscono una cooperativa denominata «Consorzio tabbachicoltori del Grappa»: si occupano principalmente di altri tipi di tabacco (soprattutto per sigarette, il Veneto è uno delle regioni dove se ne produce di più), ma continuano a proporre «clandestinamente » - o al limite in circuiti ristrettissimi e comunque artigianali - il «nostrano». Ora, dopo sette anni di progetti, il sigaro riacquisterà la sua dignità sul mercato ufficiale: grazie anche all’interessamento della Regione, il consorzio ha trovato un accordo con il gruppo Maccaferri, holding che detiene la proprietà delle Manifatture Sigaro Toscano. La parte artigianale della produzione (quella di maggior pregio) continuerà sulle rive del Brenta, con dieci addette che si occuperanno manualmente del confezionamento dei sigari, mentre quella industriale emeccanizzata si sposterà a Lucca.

fonte:venetonews.com

 

 

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