Il lancio dell'Orciolo, il primo sigaro da tabacco biologico certificato, ha suscitato curiosità e anche qualche dubbio, su cosa significhi in realtà biologico, e come questo concetto si applichi al mondo del sigaro e del tabacco in generale.
Esiste, nel mondo del sigaro caraibico, già da qualche anno la Reserva Organica di Plasencia, ma da oggi questa realtà si affaccia anche sul panorama italiano. Tuttavia non è in questa sede che vogliamo fare una recensione dell'Orciolo, che pure arriverà sulle nostre pagine a breve, vogliamo invece delineare il quadro normativo entro cui ci si muove, e definire alcuni aspetti di natura tecnica per informare meglio i consumatori, ma anche a beneficio dei produttori di sigari e di tabacco, giacchè il concetto di sigaro da tabacco biologico può essere ripreso da altre aziende produttrici.
Anzitutto occorre specificare e sottolineare che abbiamo parlato di Sigaro da tabacco biologico, e non di sigaro biologico; nel quadro normativo attuale infatti,
vigono ben due norme, che non permettono di etichettare come biologico il sigaro, anche se di fatto non si usano additivi chimici nel processo produttivo. Il perchè vi sarà chiaro, leggendo il resto dell'articolo.
Le due normative di riferimento sono, appunto, il regolamento europeo 834/2007, che definisce le regole per il biologico, e la direttiva 2014/40 che norma invece la commercializzazione dei prodotti contenenti tabacco.
Entrambe le norme vietano ai prodotti da fumo di essere definiti prodotti biologici in toto, il regolamento 834 infatti, al punto b), paragrafo 2, art. 1, definisce cosa può essere certificato come biologico, e in particolare, tutti i prodotti agricoli ottenuti senza l'ausilio di sostanze di sintesi nel processo produttivo (ed è qui che si ferma la certificazione sul tabacco, in quanto prodotto agricolo), e per i prodotti trasformati, limita il campo di applicazione ai soli prodotti alimentari, specificando che essi devono essere ottenuti a loro volta usando ingredienti bio, almeno per il 95% del peso finale del prodotto. Va da se che , il tabacco, ed in particolare il sigaro, essendo un prodotto trasformato, e soprattutto non alimentare, non possa beneficiare del marchio riconosciuto per i prodotti biologici, quindi la definizione corretta è "prodotto da tabacchi biologici" giacchè la certificazione si può ottenere solo per il prodotto agricolo.
Tale dicitura però non può comunque essere usata sulla scatola, poichè interviene la direttiva europea 2014/40 che vieta espressamente di inserire ELEMENTI sul packaging, che contengano messaggi potenzialmente interpretabili come una ridotta pericolosità del prodotto. La normativa specifica "ELEMENTI" quindi loghi, scritte o immagini, e specifica anche alcune parole o categorie di parole non utilizzabili. Tra quelle specificate c'è appunto "organic" ovvero Biologico, in inglese.
Quindi non vedremo mai su un pacchetto di sigari il termine "Bio" o "biologico" anche se l'informazione può essere veicolata ai rivenditori. Nella fattispecie, giustamente ad avviso di chi vi scrive, il pacchetto dell'Orciolo riporta la dicitura "filiera certificata" che identifica una tracciabilità del prodotto e delle sue trasformazioni, ma non è di per se sinonimo di minore pericolosità del prodotto da fumo.
Questo il quadro normativo, ma veniamo ora a quello logico e concettuale. Rifacciamoci al concetto di bio, nella trasformazione agroindustriale, e in particolare ai requisiti per il food: sappiamo che possiamo definire biologico il prodotto agricolo in quanto tale ma anche trasformato, purchè almeno il 95% degli ingredienti sia di origine biologica. Nel caso di specie, il sigaro è composto da tabacco ed acqua in misura ben superiore al 95%, quindi una volta certificato il tabacco come biologico, questo rientra pienamente, a livello concettuale (NB Concettuale, non normativo), nel novero dei prodotti bio. La cura, che è uno dei processi a cui il tabacco viene sottoposto, è effettuata con legno, che occorrerebbe in linea di principio certificare, così come la colla vegetale, che dovrebbe provenire da filiera bio, tuttavia, questo non altera il concetto appena espresso, anche in caso di provenienza dei mezzi produttivi appena citati da filiere tradizionali (non bio) poichè la percentuale del residuo di fumo e la colla sul prodotto finito sono inferiori al 5% in peso. Esiste poi una norma inerente gli additivi, e i residui chimici, nei prodotti bio, che sempre a livello concettuale deve essere tenuta in cosiderazione, per la quale non vige il limite del 5% ma limiti specifici per sostanza. Il fumo in effetti, in linea puramente teorica, potrebbe contenere composti che non rientrano nel bio, e lasciarne come residuo sul tabacco una quantità superiore rispetto al consentito. Il concetto però, al netto di frodi, è puramente teorico, poichè per superare tali limiti, dovuti a una affumicatura, occorrerebbe bruciare legni pretrattati chimicamente, cosa che non avviene, di norma, nel fire curing del tabacco.
Possiamo ragionevolmente affermare, quindi, che le eventuali criticità del bio siano soprattutto in fase di coltivazione e che per sigari naturali non additivati, ottenuti da tabacco biologico, ci avviciniamo con ottima approssimazione a quello che in un quadro normativo adeguato, sarebbe un sigaro bio a tutti gli effetti.
Infine spendiamo due parole sul processo agricolo e sugli effetti della tecnica di coltivazione biologica sul tabacco, come sappiamo il biologico è una tecnica mediamente più difficile che però da buoni risultati qualitativi, ed il tabacco non fa eccezioni, tuttavia occorre tarare alcuni aspetti produttivi, come la rotazione colturale, e le concimazioni organiche in modo da regolare alcuni aspetti qualitativi del prodotto. Mentre la concimazione minerale infatti permette una maggiore precisione nella distribuzione dei concimi, soprattutto azotati in specifiche fasi fenologiche della pianta, una concimazione organica, per definizione a lenta cessione, ha un rilascio più costante e graduale di nutrienti. Questo non sempre è un aspetto positivo, e specialmente in piante da foglia (come il tabacco) o da legno. Il rischio è una "esplosione a legno" della pianta (con la quale si definisce la produzione di biomassa epigea differente da frutti o semi, quindi una massiva produzione di foglie o fusto) , che, se da un lato è positiva in termini quantitativi, può non esserlo in termini di qualità. Un buon prodotto (Sigaro) finito, ottenuto da tabacco bio si ottiene quindi, sostanzialmente in due modi: o con tanto scarto di produzione, o con una messa a punto quasi certosina della tecnica colturale, in maniera specifica per il terroir di coltivazione ma anche e soprattutto in funzione della realtà aziendale sito-specifica.
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