Claude Monet - Impression: Soleil Levant |
che sia uno spunto di riflessione interessante, dato che troppo spesso accendiamo un sigaro pensandoci, forse, troppo poco.
Non siamo nuovi al fatto che “il
tutto sia più della somma delle sue parti”. Se riflettiamo bene, dato un
insieme chiuso, ogni parte che lo compone presa singolarmente manca di quella
sinergia, quella correlazione con il tutto. Del resto, per il paradosso di
Heisenberg, non esisterebbe il movimento: egli infatti asseriva che il
movimento è dato dalla successione di infiniti stati di quiete. La pellicola
cinematografica funziona in questo modo. Tante piccole fotografie che si
susseguono in un tempo talmente irrisorio, che la nostra retina non riesce a
distinguerle. Ma il movimento esiste eccome, perché è qualcosa di più dei suoi
elementi presi singolarmente.
Tutto questo cappello
introduttivo per dire in realtà una cosa molto semplice. Fumare un sigaro non è
prendere del tabacco arrotolato, accenderlo e aspirare i suoi effluvi. Sarebbe
nichilista anche solo il pensarlo.
Ma io non sono qui per fornire
alcuna risposta. Non esiste un momento giusto per arderlo, non esiste una
ricetta universale su quando questo debba essere fatto. Non esiste nemmeno una
sorta di regola non scritta, una consuetudine, una risultante olistica. Perché
chi fuma non lo fa con la testa, e nemmeno col cuore. Lo fa, e basta… ma mai
casualmente.
Apparentemente, sembra che questi
ragionamenti, forse troppo nebulosi e archetipici, si annullino a vicenda:
prima dico che non c’è nulla di preciso, poi asserisco che la scelta non è mai
aleatoria.
In realtà, c’è uno spazio, più o
meno definito, di azione. Apro un’altra piccola parentesi: avete presente il
dilemma del libero arbitrio? Noi siamo frutto dell’azione divina – qualunque
essa sia – e quindi ci muoviamo di conseguenza, oppure abbiamo totale libertà,
ma comunque siamo “costretti a vivere”, e quindi non è più totale? Si parla di
“spazio vitale”, quello spazio, cioè, dove possiamo muoverci all’infinito come
ci pare, ma che rimane delimitato da un confine non oltrepassabile, finito
(altro dilemma: se i numeri sono infiniti, ma sono infiniti anche i numeri tra
3 e 4, e tra 12 e 15, ha senso ordinarli?).
Il sigaro si fuma in questa area
di libero arbitrio. Ognuno è assolutamente in possibilità di accendersi il suo
toscano o il suo caraibico in qualunque momento voglia. E non diventa più,
pertanto, mera casualità, ma un bisogno – non in senso nicotinico -, una
spinta, un desiderio. Freud parlerebbe di “Principio di Piacere”, una pulsione
che dobbiamo cercare di soddisfare per poter star bene, in accordo col
“Principio di Realtà”, che limita o dà adito a questa pulsione a seconda del
contesto in cui ci si trova.
Per cui, ci sarà chi il suo
sigaro lo fumerà per evadere dalla noia quotidiana, quello che vorrà un fido
alleato per godersi un tramonto, chi lo brucerà in macchina sperando che il
tragitto sia più lungo del solito. Ho conosciuto persone che dovevano
rigorosamente avere in sottofondo i Genesis, ricordando i bei tempi che furono,
ma anche quelli che riescono a fumarlo solo a lavoro, perché “ha tutto un altro
fascino”.
Un mio carissimo amico si fuma un
sigaro al mese, che però è appena appena un Esplendidos. Ma c’è anche chi fuma
solo la domenica dopo un pranzo luculliano, e chi li fuma tutti i giorni,
magari uno dopo l’altro.
Personalmente, io sono uno di
quei pensatori che non è schiavo della quotidianità, e neppure delle
ricorrenze, di quei momenti di festa dove “non puoi non fumarlo”. Non sono
schiavo della compagnia, né della solitudine, dei prodotti di alta gamma, né
del giudizio degli altri.
Non ho detto due cose. La prima è
che il nostro “spazio vitale”, chiamato in inglese “comfort zone” – forse meglio da usare visto che la prima
terminologia ricorda un folle piano dittatoriale – si può sempre ampliare.
In secondo luogo, lo so che qualcuno
starà sorridendo, qualcun altro avrà già riso a crepapelle leggendo il mio
articolo, pensando che magari mi sia fatto di chissà quali allucinogeni.
Niente di tutto questo. Mi sta
accompagnando nella redazione di questo scritto solo un ottimo Macanudo.
Perché nella mia comfort zone c’è l’utilizzo del sigaro
come veicolo per raggiungere uno stato di consapevolezza maggiore del mondo che
mi circonda, un’elasticità mentale che mi può dare solo la contemplazione delle
spire che si avviluppano salendo verso il cielo. Pensieri filosofici, etici, morali,
sentimentali, storici, letterari, dei sani valori quali l’amicizia, il rispetto
e l’onestà. Il futuro, lo studio, ciò che mi fa star bene, senza toni
paternalistici o di facile appiglio.
Chi non ha mai pensato alla
meraviglia o alla tragedia del mondo, allo spirito, all’estetica, all’amore, a
dio, seduti sulla panchina del parco o in balcone, con la luce soffusa del
tardo pomeriggio?
Vedete?! Per me il sigaro è
questo, o meglio: anche questo! Perché ogni tanto ho bisogno di un ammezzato da
fumare spensieratamente mentre sono in bicicletta, oppure quello leggero da
gustarmi quando bevo una birra con gli amici o esco con una bella figliuola
(nonostante dopo quello che ho scritto possa sembrare che ciò non avvenga mai –
leggasi autoironia, grazie al cielo).
E questo perché non parliamo solo di tabacco arrotolato, ma di un tutto che è
più della somma delle sue parti.
Forse questa mia riflessione non
ha modo di esistere, forse sono totalmente fuori strada. Ma se la vita è senza
senso, perché questo scritto dovrebbe averne?
...non ci resta che fumare.
RispondiEliminaSequel mai uscito della coppia Benigni-Troisi :-)
Elimina:-))) Mi piacciono queste divagazioni in cui i tabacco diventa simbolo e metafora... Forse perché mi diverto a scriverne anch'io, assicurando ai lettori che fumo, appunto, solo tabacco...
RispondiEliminaBello e distensivo
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