30 settembre 2015

Also Sprach Molinari – Portatore di fumo lento in Italia

Andrea Giovanni Molinari con Fidel Castro
Sicuramente è la persona che più ha influito sul mondo dei sigari in Italia. Molti lo considerano una leggenda, tant’è vero che lo stesso Luigi Ferri, massimo conoscitore di sigari del Belpaese, ha voluto intervistarlo, nel suo libro "Conversazioni sul sigaro". Quell’evento risale all’ormai lontano 2007. Poi silenzio.
CigarBlog lo ha raggiunto per voi, per poter condividere coi suoi fedeli lettori le pillole di saggezza che quest’uomo ci ha voluto rivelare, per fare in modo che tutti possano avere, in qualche modo, una conversazione con lui. Stiamo parlando di Andrea Giovanni Molinari.
Di seguito riportiamo la prima parte dell’intervista, ma crediamo sia necessario un’introduzione degna della personalità che abbiamo avuto onore di ospitare sul nostro Blog.

Andrea Giovanni Molinari è nato a Roma, il 26 settembre 1955. Da sempre stato un eccellente aviatore civile, ha creato la Lauda-Air, di cui è stato anche amministratore delegato. Per lavoro, ha conosciuto e spesso visitato Cuba,  Paese a cui si sente di appartenere in modo profondo.
Fondatore di Cigair prima, una delle prime associazioni dello slow smoking italiano, e della
Casa del Habano poi, ha portato agli italiani il mondo del fumo lento.
Deciso dal mercato a commerciare sigari, ha creato Diadema S.p.A, società che tuttora importa sigari prevalentemente cubani, assieme ad Andrea Vincenzi. Ha collaborato a lungo con Fidel Castro e con tutti gli enti governativi cubani degli Anni Novanta per portare in giro per il mondo le peculiarità avanensi, sigari in testa. Ha creato ONEOFF e Due Mondi, prodotti di altissima qualità, oltre alla celebre vitola del Cañonazo.
Ora, uscito definitivamente da ogni carica sigarofila, continua ad operare nel suo primo mondo, quello aereo, e a godersi la moglie Zelide e i suoi gemelli.

Di seguito troverete la prima parte dell’intervista. La seconda verrà pubblicata in data 7 Ottobre 2015 (per leggerla cliccate qui).

Luca Dominianni per Cigar Blog (C.B.) – Buongiorno Andrea. Vuoi raccontarci un po’ di come ti sei approcciato al mondo del fumo lento?
Andrea Molinari (A.G.M.) – Buongiorno a voi. Beh, è strano da dire, ma successe quando avevo 3 anni. Mio fratello Giovanni ne aveva 17 in più, e mentre studiava ingegneria, era solito fumare un buon toscano. A me piaceva da impazzire quell’odore, ma preferivo ancor di più quando, qualche anno più tardi, diventato professore universitario, fumava i sigari cubani che i suoi studenti, per arruffianarselo, gli portavano dalla Spagna, dall’Olanda e da tutto il mondo.
A nove anni poi, io e due miei amichetti escogitammo un modo per divertirci: tre bottiglie di vino rubato a mio padre e tre sigari sottratti a Giovanni. Ci svegliammo la settimana dopo. (ride)

C.B. – Come hai conosciuto Cuba?
A.G.M. – Dunque, correva l’anno 1991. Ero appena entrato in Lauda-Air, e andai a Cuba per capire cosa stesse succedendo, perché ritenevamo che fosse una destinazione fondamentale per il progetto che avevamo in mente. Nel maggio 1992 vi tornai più seriamente, nel senso che l’anno prima era stata una toccata e fuga. L’obiettivo questa volta era il primo convegno mondiale per il Turismo.

C.B. – Nella tua carriera, hai creato almeno tre enti. Trattiamoli uno alla volta, ti va? Partiamo da Cigair.
A.G.M. – Allora, visto che ci tieni tantissimo, voglio rivelarti una chicca che in pochissimi conoscono. Immagino tu sappia che il mio lavoro ha sempre riguardato l’aviazione civile. Un giorno – siamo intorno a marzo del 1996 – viaggiavo su KLM, compagnia olandese, e nel duty free di bordo, vendevano sigari scarsi. Ebbi allora l’illuminazione: ma se vendessi sigari sulle riviste di bordo delle compagnie aeree?!
Del resto, io sono stato uno dei primissimi italiani abbonati alla rivista Cigaro Aficionado, per cui conoscevo bene quel vasto mondo di produttori. Le aspettative erano grandi: basti pensare che i Cigar Club negli States, con quella rivista, passarono da 10 a 4000 in un anno. Allora, due mesi dopo, nacque Cigair, il cui nome era ovviamente tributo al mondo aereo, ma è anche acronimo di Cigar-smoking Is Great All Italy Round.
Mi ricordo ancora quella mattina: andammo dal notaio io, mia moglie Zelide, Giancarlo Falletti, noto giornalista del Corsera che volle a tutti i costi la definizione, per sé, di “socio fondatore non fumatore”, e Luciano Petrucci, un mio amico fumatore di Roma.
La prima sede era in via Montebello 16 a Milano, poi ci trasferimmo in via Molino delle Armi 25, dove tirammo su dal nulla la Casa del Habano all’interno del Club CIGAIR, chiusa poi nel 2005 per la miopia del Ministro della Sanita’, che, all’atto dell’introduzione della legge contro il fumo nei locali pubblici, non aveva previsto l’eccezione per i club privati.

C.B. – La Casa del Habano era proprio la seconda “meraviglia” di cui vorrei parlare. In che senso “miopia”?
A.G.M. – Allora Luca, considera che avevamo costruito il primo club di lento fumo italiano. Un locale da 600 m2,, con oltre 4000 iscritti e un servizio perfetto. Si entrava e si veniva catapultati in un’altra dimensione. Chi vi accedeva, non riusciva a distinguere se fosse a New York, Berlino, Hong Kong o qualsiasi altra città del mondo. Avevamo tutte le licenze pubbliche del caso, ma preferivamo tenerlo privato.
Fu un successo strepitoso, curavamo ogni singolo dettaglio, rendendola un’esperienza all’avanguardia. Il ristorante era affidato alla consulenza di Davide Oldani, che studiò sia l’architettura della cucina che i menù (eravamo all’inizio dell’esperienza fusion cuisine) e che ci propose come executive chef Hide San, un suo allievo giapponese e degno professionista di quel genio della cucina che è l’amico Davide. Mentre io mi porto appresso la 24 ore con i documenti di lavoro, quella di Hide San era piena di coltelli.
I vini e gli alcolici in generale erano affidati a Luca Gàrgano, proprietario della Velier di Genova, che riforniva il locale con Calvados, whisky e rhum tutti di prima qualità, oltre ai vini biodinamici “triple A” (AAA Artigiani-Artisti-Agricoltori). Abbiamo fatto godere migliaia di persone dal 1997 fino al 2005.
Organizzavamo decine di eventi, quelli di degustazione sia di sigari che di alcolici, con la cucina fusion, il mondo della pipa, eccetera.
Era un mondo unico, che non è finito a caso nel 2005, ma a causa delle leggi contro il fumo che ci tagliarono le gambe. Spendemmo una fortuna per installare un sistema di filtraggio che, come concetto di progettazione e realizzazione, presi dalla mia compagnia aerea: la stessa ASL di Milano ci disse che l’aria all’interno era più pulita che quella fuori, tant’è vero che le pellicce delle donne, all’uscita non avevano un filo d’odore. Ma nonostante questa attenzione maniacale, non rispettavamo i nuovi standard del Ministero della Sanità. Anche perché, dall’entrata in vigore della legge in avanti, non avremmo potuto destinare più del 20% dell’area al popolo fumatore. E una realtà economica così florida venne distrutta, ripeto, dalla miopia dell’allora ministro della sanità.

C.B. – E il tuo fiore all’occhiello, Diadema s.p.a.? Perché ne sei uscito?
A.G.M. – Abbiamo fatto nascere Diadema perché in Italia c’era già un distributore che però importava appena 3-4 vitolas e non più di 200.000 sigari cubani al massimo. Questa iniziativa nacque dal lavoro con Luca Gargano di cui ho già detto più sopra e con Andrea Vincenzi, un giovane ragazzo con cui fumavo e che scriveva per Torpedo, una rivista molto di nicchia inventata da zero da Alessandro Masnaghetti, forse il più grande esperto di tutto ciò che è alcolico.
Io ero già conosciuto, specialmente a Cuba, e difatti fu lo stesso Primo Ministro dell’epoca, Carlos Lage,  che mi presentò al Presidente di Habanos SA, Francisco “Panchito” Linares, che, avendo ammirato la mia conoscenza profonda del loro prodotto e la mia dinamicità, mi propose di promuovere i loro prodotti in Italia.
Panchito Linares, dopo essere venuto ad inaugurare la prima Casa del Habano in Italia nel 1998, si ritirò dall’incarico per motivi di salute. Nel 1999 il 50% di Habanos, venne acquistato da una notissima società spagnola di distribuzione tabacchi, la Altadis. Al posto di Linares vennero nominati due co-presidenti, uno spagnolo e uno cubano, tale Oscar Basulto, ignorante totale certamente quanto al sigaro cubano, che inviò in Italia un suo amico, del quale onestamente non ricordo il nome, ma che aveva lavorato molti anni in Francia a capo della società distributrice degli habanos. Basulto pretese di nominare questo signore quale nuovo presidente del Consiglio d’Amministrazione di Diadema (del quale sin dall’inizio io ero presidente e Andrea Vincenzi amministratore delegato), nominare me come presidente onorario (della serie: fuori dai coglioni) e Vincenzi direttore commerciale ma fuori dal CdA. Appresi (dopo uno scontro tutto “intellettuale” riguardante il suo poco seguire lo stile fidelista nel fare affari, scontro avvenuto immediatamente subito dopo il suo insediamento in Italia) che in realtà la Francia l’aveva dovuta lasciare e non certo per motivi politici… Alcuni individui venivano riciclati, altri pensavano troppo a se stessi contrariamente ad ogni ideologia di Fidel, non so se mi spiego. Ne uscii, mentre Andrea continuò. E a giudicare dalla sua ascesa a Presidente di Diadema dopo qualche anno, debbo dire che ha avuto una gran pazienza e lungimiranza. Ma uscito non potevo starmene con le mani in mano, e così creai ONEOFF.

C.B. – E a quello ci arriveremo tra poco. Prima ti vorrei chiedere perché ti sei impegnato moltissimo solo nei confronti dei sigari avanensi, e non anche per quelli extra-cubani. Come mai?
A.G.M. – Il motivo è molto semplice. Immagino che a te piacciano i vini italiani. Quelli piemontesi sono eccellenti, ma non hanno nulla a che vedere con i vini della Borgogna.
Il grande produttore di tabacco
Don Alejandro Robaina
Ecco, allora considera che Pinar del Rio è la Borgogna del sigaro. E’ un’area geografica perfetta, dove viene prodotto una materia prima ineguagliabile! Essa era anche un po’ più isolata, quasi dimenticata dal resto di Cuba, e qui entra in gioco anche la mia filosofia, perché io non faccio mai il tifo per il più forte.
Proprio per questo, quando tra il 1993 e il 1994 Cuba entrò nel suo Periodo Especial, per poter sopravvivere, fu costretta ad aprire al turismo. Questa regione fu quella che seppe reagire meglio, e io la stimo profondamente per ciò.
Da qui il motivo per cui amo alla follia il tabacco cubano, specialmente quello di Pinar del Rio. Ma resta il fatto che dal 1998 a tutto il 2006, i sigari nicaraguensi e dominicani sono stati senz’ombra di dubbio quelli più anatomicamente precisi.

C.B. – Cosa ne pensi quindi degli extraordinary?
A.G.M. – Io stesso ho prodotto in Nicaragua con i semi di Don Alejandro Robaina e le tecniche di Pinar del Rio. In questi posti, tra l’altro, i primi a fare sigari sono stati i cubani che scappavano dal loro Paese dopo la Rivoluzione.
Come ho detto prima hanno la qualità di essere veramente fabbricati alla perfezione. Ho fumato nicaraguensi eccellenti, come anche dei dominicani, ma i cubani sono di un altro pianeta.

C.B. – C’è stato un momento che ti ha veramente aperto gli occhi. La scoperta della spirulina, dico bene?
A.G.M. – Per raccontare questa storia devo partire da molto indietro.
Ero a pranzo con Francisco Linares e Pepe Llanosa, primo sindaco della città di Havana nominato a seguito della Rivoluzione di Castro, e il primo di loro mi disse che erano in uno stato di emergenza, perché con il rafforzamento dell’embargo da parte degli Stati Uniti, avevano ancora più necessità di promuovere le eccellenze cubane.
Voglio qui ricordare l’infamia della la legge Helms-Burton, che sanciva l’obbligatorietà per qualsiasi cittadino statunitense di non spendere nemmeno un dollaro presso Cuba, perché quel dollaro avrebbe finanziato la Rivoluzione. Così facendo, i turisti americani si facevano ospiti di parenti o amici, senza utilizzare i servizi turistici.
Spirulina in polvere
Mi ero, quindi, deciso a fare qualcosa di positivo per Cuba, al fine di condividere con tutti le eccellenze della loro Terra, e tentare di aiutarla, anche economicamente, a risorgere. E questa non era solo la mia volontà. Mi ricordo quando Arnold Schwarzenegger venne colto in flagrante a fumare un sigaro cubano presso il Club newyorkese Grand Havana Room, acquistato presso la Casa del Habano di Partagas qualche tempo prima. Due ufficiali della polizia americana lo fermarono, e gli fecero una multa da 400 mila dollari. Per tutta risposta, lui che non è mai stato un vero e proprio signore, ha firmato un assegno per quella cifra, l’ha dato con sdegno ai gendarmi, e si è goduto il sigaro davanti a loro.
Giuro che sto arrivando a parlare della spirulina, ma senza queste premesse non si capirebbe la situazione. Tra le vari eccellenze cubane, c’erano sigari, caffè, rum, zucchero e tutto il settore farmaceutico e scolastico, e ovviamente le stavo studiando tutte per avere la più ampia conoscenza possibile su questo tema. Parlai allora a lungo della fantomatica spirulina, questa micro-alga che venne scoperta dalle milizie fideliste impegnate anni prima nel conflitto in Angola: i medici cubani al seguito delle milizie vedevano, infatti, che i soldati autoctoni si cibavano con un tortino che puzzava di granchio marcio, e arrivavano a fine giornata in forze, e rilassati – per quanto lo potessero essere dopo una giornata di battaglia.
Ora la spirulina è famosa in tutto il mondo, perfettamente legale e usata anche in Italia. Io ne faccio uso da 20 anni, e oltre ad avermi abbassato il colesterolo e aiutato a farmi perdere 10 kg, mi ha migliorato il sangue, il riposo, la mente e so per certo che aiuta a prevenire moltissime malattie. Fui spronato da questa scoperta a impegnare ogni mia singola cellula per il bene di quel Paese oltraggiato e martoriato.
Molinari con sua moglie Zelide, e i gemelli Vittorio Andrea
e Matilde Zelide, avuti nel 2000
Mario Rodriguez, l’allora ambasciatore cubano in Italia, mi disse: “Non cadere in errore. Non approfittarti del nostro Stato e della sua popolazione. Se sarà così, e ne sono sicuro, farai grande strada!”.
E così, come per chi va a Monaco di Baviera e si porta la birra dall’Italia, io, ogni volta che andavo a Cuba, portavo con me prima le fidanzate dell’epoca e poi, dopo sposato, la mia meravigliosa moglie Zelide, madre dei miei gemelli Vittorio Andrea e Matilde Zelide.

C.B. – Che spinta ti è venuta da dentro per creare ONEOFF e Due Mondi?
A.G.M. – Io ho sempre voluto portare a termine i miei progetti. Ma odio, al termine, rimanere con le mani in mano. E dopo l’esperienza di Diadema s.p.a., da cui mi ero ritirato, ho voluto investire in qualcosa di interamente mio.
Le origini di ONEOFF si ritrovano in una chiacchierata con Don Alejandro Robaina, il più grande coltivatore di tabacco a Cuba. Gli rivelai che, avendo appena ceduto le mie azioni nella Diadema ed essendo quindi in presenza di liquidità, volevo inventarmi qualcosa. Lui mi diede il contatto di Nestor Plasencia, suo nipote in quanto figlio di una sua sorella, in Nicaragua. Vi andai, mettemmo a punto il progetto, e coltivammo in una terra che non veniva seminata da 30 anni. Non c’è niente di più bello di una scommessa. Se poi la vinci anche…
Su questo sigaro ci furono due complimenti da commozione. Il primo di James Suckling di Cigar Aficionado, che lo definì “un prodotto fatto a Cuba, mandato in Nicaragua e venduto in USA come se fosse un nicaraguense”: complimentissimo, no?
L’altro nel 2002, quando andai a Boston a trovare il distributore esclusivo di ONEOFF degli States. Gli stavo portando le nostre primizie, e alla dogana mi fermarono, non credendo fossero nicaraguensi ma cubani. Uno di loro, il vero specialista di sigari cubani, affermò “Non sono cubani, sono fatti troppo bene…”.
ONEOFF con la tipica anilla "di pace"
Due Mondi, invece, è nato quando sono andato a trovare lo stesso Robaina. Quel giorno ero accompagnato da un mio caro amico toscanofilo, Guido Pugliese, che gli offrì un sigaro italiano. Lui disse qualcosa a suo figlio e glielo diede. Questi tornò con lo stesso toscano, ma avvolto in una foglia delle sue piantagioni. Il perché ce lo rivelò poco dopo: “Mi stavo tagliando le labbra!”. (ride)
Poco dopo, ricordo, che Guido gli domandò perché il bicho attacca i cubani ma non i toscani. Senza problemi, Don Alejandro rispose: “Porqué al bicho no le gusta la mierda!” (Perché al bicho non piace la merda!). (ride più forte)
Due Mondi, anche conosciuto come "Tosbano"

C.B. – Potremmo però dire che la tua “creatura” sia il Cañonazo, che hai creato con Gassiot.
A.G.M. – Si, probabilmente è così.
Rimarrà per sempre un ricordo indelebile. Era fine novembre del 1997. Andammo a Cuba con Niki Lauda e tutto il Team di quando era, con Ecclestone, in Alfa Romeo. C’erano tutti: meccanici, piloti,
strateghi, direttori, eccetera. Li portai a Partagas, dove incontrammo il direttore tecnico, José Santamaria, e Santo Cardenas, il direttore di produzione, che realizzava i migliori robustos al mondo.
Cohiba Siglo VI, uno dei Cañonazo più famosi
Volevamo fare qualcosa di mai visto, e allora col mitico torcedor Carlito Gassiot, lavorammo a questa vitola di 6’’ ¾ e ring di 52, con il rabito in testa. Venne registrato nei registri delle Vitolas di Partagas il 27 novembre 1997, col nome di “Cañonazo 767, El puro de Molinari”. (ride)
Il nome deriva dal fatto che tutte le sere, a Cuba, suona il Cañonazo, l’artiglieria che segnala la chiusura dei canali, come ai tempi del coprifuoco. Decidemmo, quindi, di “dedicarglielo”, anche se il suffisso –azo non mi piaceva affatto. Mi pareva un dispregiativo. Solo dopo mi spiegarono che, per loro, è un complimento, è un ingigantimento positivo. E cominciai ad amarlo.

C.B. – Come il “Golazo” di Altafini.
A.G.M. Esattamente! (ride forte)


Non perdetevi la seconda ed ultima parte dell'intervista, in uscita il 7 ottobre, solo su CigarBlog...Sigari e Dintorni.

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