Ma si presta bene anche il titolo: “Sono pazzi questi
tabaccai”. E notare che a “pazzi” si potrebbero sostituire tanti altri
aggettivi molto meno gentili e garbati. Perché tu entri in tabaccheria gentile
e garbato, e spesso ne esci un po’ contrariato, inalberato, per non dire
proprio incazzato. E quale città meglio della poliedrica e tentacolare Milano
permette di esplorare la fitta e diversificata fauna dei tabaccai italiani?
Il catalogo è lungo, e ce ne è davvero per tutti i
(dis)gusti. Da milanese e toscanofilo ho avuto modo di testare quelle che sono
ritenute le migliori tabaccherie, salvo accorgermi che spesso solo in teoria soddisfano la
loro nomea di rivendite “specializzate”.
Ci sono le tabaccherie assai blasonate. Vetrine tirate a lucido
su cui comunque non potrebbe piovere perché protette da gallerie rinomate. Commessi
che poco ci manca di trovarli in livrea. Posso capire che vendono sigari e pipe
e tabacchi e accessori da fumatore, spesso anche di lusso, ma sono pur sempre
sigari e pipe e tabacchi e accessori da fumatore. Niente di più. Eppure spesso
entri in templi del fumo lento del genere, e vieni accolto da una freddezza
glaciale e sguardi di sufficienza. Entri ed esci, chiedi la scatola di sigari e
te la danno: la differenza fra questo tipo di tabaccheria e un semplice
distributore automatico non esiste. Ma almeno i sigari sono custoditi in
humidor.
Ma il centro è anche popolato da tabaccherie di vecchia
data, che vorrebbero ma non possono. Tabaccherie che si trovano insomma in una
posizione limbica. A metà: tra quelle che stan sospese. Tabaccherie dove anche
qui entri, compri ed esci, ma per fortuna senza essere messo in soggezione.
Sono quelle tabaccherie di cui sicuramente si è sentito parlare su internet, ma
che vendono i soliti quattro Toscani e basta, spesso fuori dall’humidor. Oddio,
quando esce qualche novità (spesso di infimo livello) te la propongono (l’avessero
mai fatto!), a monosillabi e anche tu non puoi far altro che limitarti a un
equivalente monosillabo, un sì o un no. Il commesso è sicuramente più affabile
di quello della prima tabaccheria, ma nemmeno troppo, perché punta a non consumare
troppe energie in parole, preferendo starsene zitto.
E poi ci sono le tabaccherie come Dio comanda. E Dio comanda
quasi sempre bene. Sono spesso tabaccherie nei pressi del centro, dove entri e
sei accolto da una calda cordialità, e competenza, tanta. Il commesso ci tiene
ai suoi sigari, e ci sa fare. Vende anche gomme da masticare e biglietti
dell’autobus o abbonamenti per la metro, ma sa anche trovare tutto il tempo del
mondo per spiegare ai suoi clienti, anche ai più giovani e non abituali, la
propria merce. È una figura di tabaccaio in via d’estinzione, che è probabile
vederlo tra non molto nelle teche di un museo di scienze naturali o in qualche
riserva protetta. È il tabaccaio che vorremmo.
Ma il mondo in fondo è bello perché avariato, e anche quest’ultimo
modello di tabaccheria non è esente da critiche. Non di rado capita che il
tanto gentile tabaccaio si faccia sostituire temporaneamente da qualcuno che
non sa una mazza di sigari, ma tentenna fra gli scaffali alla ricerca del
Toscano che gli hai chiesto e non s’arrischia a fare domande che metterebbero
in luce la sua abissale incompetenza né a spiccicare verbo.
A volte però si sente coraggioso e, se ha davanti un
acquirente comunque maggiorenne al quale però ancora la prima lanugine non è
spuntata, arriva a chiedere: “Ma lei è maggiorenne? Non si sa mai che il
Gabibbo…”.
STEFANO VITTORI
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