13 gennaio 2017

Materialità del Tabacco: Quando un sigaro è tutto, fuorché un sigaro


Questo che vedete nella foto è un sigaro Toscano Classico. Al contrario di quello che possiate pensare, ai miei occhi è tutto fuorché un sigaro; non per la sua forma innaturale o per le evidenti condizioni, bensì per la vera entità che questo semplice oggetto possiede. Lasciatemi spiegare.



Qualche giorno fa, rovistando nell'armadio per dei vecchi pantaloni, ne ritrovai un paio che utilizzavo più di un anno fa per lavorare in cantieri archeologici. Riprovandoli, sentii un oggetto nella tasca destra, situata poco al disopra del ginocchio. Dopo aver allungato la mano, e afferrando tale oggetto, mi resi conto che si trattava di un ex-Toscano Classico, oramai ‘deceduto’ (termine non casuale) dopo esser stato lavato in lavatrice e aver collezionato polvere.


Sarà per deformazione professionale, ma appena afferrato ed osservato l’oggetto, mi venne subito spontaneo esaminarlo come fosse uno dei tanti reperti archeologici ritrovati nel terreno; un oggetto di passati remoti, entità esistente non solo nella sua forma, ma anche e sopratutto nella sua esistenza astratta. La forma storta ed il cellophane molto ingiallito non mi diede subito l’impressione di un sigaro, trovandosi fuori dai canoni comuni dettati dai produttori e consumatori. Il tempo lo aveva reso secco e leggero, il cellophane scricchiolava, ed il fango depositato sulle pareti proveniente da chissà quale scavo lo rendeva ai miei occhi orripilante e affascinante allo stesso tempo. La visione e reazione tattile a tale oggetto mi riportò subito alla memoria tutte le pause passate in campi remoti delle campagne inglesi, a combattere con venti freddi e piogge incessanti, cercando di tener accesso il toscano fra le labbra, che prontamente proteggevo con le mani. Quel singolo sigaro deformato mi ricordava il gusto del Kentucky misto a polvere, fango e sudore. Per quanto in quegli scavi fumassi sigari diversi l’un dall'altro, il gusto era sempre lo stesso, inalterato dall'ambiente che mi circondava. Quel che vedevo e sentivo da quel povero sigaro non era un sigaro, ma il ricordo di esperienze fatte grazie a quel sigaro.

Questo era il primo pensiero che mi passò per la testa appena ritrovato il reperto. Ora, dopo averlo tenuto dopo qualche giorno sulla mia scrivania, osservandolo e rimuginandoci su, vorrei sfidarvi. Fino a quale punto si può distorcere e modificare il concetto che oramai si dà ai nostri beneamati sigari, portandone il significato su piani di realtà diversi dal pensiero comune?

Nel mondo della teoria antropologica e archeologica esiste un campo dedicato allo studio della cultura materiale, ove si analizzano i materiali e si interpretano le loro biografie ed i loro significati. Senza annoiarvi troppo su tali quisquilie che interessano solo a pochi 'sgobboni' (ahimè), in parole povere si può dire che il fulcro dello studio dei materiali si basa sul concetto di materialità. Riguardo questo concetto esistono due principali linee di pensiero del mondo accademico: la prima sviluppata da Tim Ingold, che sottolinea l’importanza della vita dei materiali, dove la materialità è un modo di vedere le “cose in vita”, e non la “vita nelle cose”. Questo fa si che gli oggetti diventino parte di una grande catena astratta, facente parte di un network d’azione globale. La seconda linea di pensiero è stata sviluppata dall'archeologo Christopher Tilley, il quale spiega che gli oggetti sono semplici ‘metafore’ della nostra vita, rappresentazione materiale di ciò che facciamo e pensiamo. Anche se potrebbero sembrare pensieri comuni su un concetto molto astratto, tali pensieri sono profondamente diversi. Fortunatamente ciò che interessa a noi in questo caso non è creare una nuova teoria sulla materialità, bensì capire come questo pensiero critico ci possa aiutare a comprendere realmente fino a che punto un sigaro è un “sigaro”. Da ciò possiamo trarre la conclusione che la materialità è semplicemente la storia, intesa come fisica e astratta identità di un oggetto stressando il fatto che gli oggetti sono in continua formazione.

Ed è proprio questa formazione che a noi interessa. Per formazione gli accademici intendono il ruolo e mutazione che un oggetto ha all'interno della sua sfera di scambio e movimento. L’antropologo Arjun Appadurai ha discusso estensivamente questo tema, e definisce comodità ciò che noi potremmo concepire come semplici “oggetti”. Per comodità non si intende un oggetto di lusso o superfluo, ma un oggetto con un valore economico, perciò alienabile, in grado di esser ceduto o venduto. Appadurai descrive le comodità non come oggetti fisici, ma come ‘relazioni sociali inserite in un oggetto’.

Prendendo questi spunti teorici e applicandoli al mondo del fumo lento, potremmo fare molte osservazioni, e discuterne estensivamente anche per giorni. Lascerò tale possibilità a chi ne è affascinato ed interessato, per ora invece torneremo al reperto di cui abbiamo discusso poco prima. Avendo adesso una comprensione più profonda di cosa vuol dire “oggetto” e “materialità”, possiamo fare varie osservazioni su questo strano ma intrigante sigaro. Il mio parere è che ciò che possiamo vedere nella foto, come già detto prima, non è affatto un sigaro. Personalmente è diventato una rappresentazione fisica di momenti del mio passato, dove il sigaro mi accompagnava e mi faceva compagnia, mi riporta alla mente scene, ambienti e situazioni. Questo “sigaro” è diventato una rappresentazione fisica di un ricordo, un sentimento astratto che rientra nel mio network personale di esperienze e di ciò che io considero la mia vita. Come dice Ingold, le comodità sono oggetti in formazioni, hanno una loro biografia e quindi una loro evoluzione. Questa particolare comodità era un tempo un sigaro, con una funzione ben specifica (la fruizione via combustione, assunzione di nicotina, godimento sensoriale ed ambientale...), durante l’anno intero che si trovava nella tasca dei pantaloni era diventato un ricordo perduto senza alcuna esistenza fisica, ed ora che si trova sulla mia scrivania è diventato un ricordo di esperienze passate.



Per concludere lascio a voi questa ultima immagine. Non voglio discuterne o analizzarla, lascerò questo lavoro a voi e a come meglio credete, poiché è solo un punto di inizio verso la comprensione della bellezza ed il fascino che oltrepassa i normali parametri di espressione. Applicando un pensiero teorico ed astratto come quello che vi ho presentato in questo articolo sono sicuro che riuscirete ad apprezzare ancor di più la vostra passione, scoprendo cose nuove ed inaspettate.





Per chi fosse interessato, questa è una piccola bibliografia dei testi fondamentali sulla cultura materiale:

Appadurai, A. (1986). The Social life of Things. Commodities in Cultural Perspective. CUP.
Hicks, D., & Beaudry, M. C. (Eds.). (2010). The Oxford handbook of material culture studies. OUP Oxford.
Ingold, T. (2000). The perception of the environment: essays on livelihood, dwelling and skill. Psychology Press.
Ingold, T. (2007). Materials against materiality. Archaeological dialogues, 14(01), 1-16.
Kopytoff, I., (1986). The cultural biography of things: commoditisation as process, in A. Appadurai (ed.), The Social Life of Things.pp. 64-91. Cambridge: CUP.
Miller, D. (2005). Materiality. Duke University Press
Tilley, C. (Eds.). (2006). Handbook of material culture. London: Sage.

Nessun commento:

Posta un commento