31 marzo 2016

La storia del Nicaragua dalla finestra di una fabbrica

Riprendiamo, dopo una pausa dovuta ad impegni lavorativi, la serie di articoli di approfondimento sul viaggio in Nicaragua, e lo facciamo con un argomento particolare, che può aiutarci a comprendere quali siano stati i passaggi che hanno portato il paese a diventare oggi uno dei principali produttori di sigari al mondo, sia in termini qualitativi che quantitativi. Lo faremo osservando la storia dal punto di vista di una manifattura, Joya de Nicaragua, la più antica e longeva, che ha vissuto l'evolversi della produzione dagli albori fino ai giorni nostri. Riportiamo nell'articolo le parole di Mario Perez (foto in alto), manager di Joya, che durante la nostra visita ci ha preparato una presentazione in merito.
La storia del tabacco in Nicaragua inizia molto prima dell'effettivo avvio della produzione di sigari, si parte dal 1930, quando viene pubblicato a Mangua il manuale "metodo para el cultivo de tabaco" sulla base della pratica di coltivazione adottata in Vuelta Abajo a cuba, con alcuni suggerimenti per l'implementazione in Nicaragua. Due anni più tardi iniziano, su commissione governativa, le esplorazioni per identificare le zone più adatte per la coltivazione. L'inizio della produzione vera e propria però inizia più di 30 anni dopo, quando Juan Francisco Bermejo e altri
cubani arrivano in Nicaragua, nel 1965, e grazie anche ai risultati dell' "Havana Tobacco Pilot Project", riconoscono in Estelì e Condega le migliori zone di produzione in cui piantare semi cubani. Tre anni più tardi Bermejo assieme a Simon Camacho, fondano ad Estelì la manifattura Nicaragua Cigar Co., primo marchio da esportazione del paese. Questo evento rappresenta una prima pietra miliare nella storia di produzione del paese, Da quel momento in avanti infatti, estelì inizia a sviluppare strutture ed indotto in grado di soddisfare le esigenze della produzione di sigari.
Già l'anno successivo iniziano le esportazioni a livello mondiale, con due importanti operatori del mercato dell'epoca: Oppenheimer in USA e Comsys in Europa, che assicureranno a Joya un'importante vetrina per l'espansione negli anni a venire.
Il ruolo della dittatura nel paese ha rappresentato una lama a doppio taglio per l'azienda, il dittatore Somoza infatti era appassionato di sigari, e nel 1971 dopo aver appreso dal presidente Nixon che Joya de Nicaragua era il marchio di sigari "ufficiale" che si fumava alla casa bianca, "spese" questa informazione in termini di marketing per lanciare il sigaro nicaraguense come alternativa al cubano, in un mercato in cui ormai era consolidato l'embargo contro Cuba. Per contro Somoza pretese ed ottenne (grazie a pressioni politiche) che Bermejo gli cedesse un'importante quota societaria, e sfruttò la sua posizione nell'azienda, tra il 72 ed il 74, per spingere la produzione nicaraguense, lanciando nuovi marchi come Rosalones ed altri marchi ormai desueti.
Nel 1976 Samoza, in collaborazione con Daniel Rodriguez, assunsero il controllo totale della manifattura, e dopo aver raggiunto l'esorbitante (per l'epoca) cifra di 9 milioni di sigari esportati, e 600 lavoratori impiegati, decisero di trasferire la manifattura in un nuovo edificio più grande, nella periferia dell'epoca (ormai quasi centro città) di Estelì, dove la fabbrica si trova ancora oggi.
Solamente due anni più tardi la fabbrica fu parzialmente distrutta (ancora oggi è possibile vedere il muro ricostruito sopra a quello originale) durante la rivoluzione sandinista. Un anno dopo, alla fine del 1979 fu permesso ai lavoratori, riuniti in cooperativa, di ricostruire ed assumere il controllo della manifattura, nel frattempo la produzione continuò in siti messi a disposizione dal governo, che sostenne i lavoratori economicamente nel periodo transitorio. Questo evento rappresenta un altro momento cruciale per il paese. Senza il sostegno temporaneo governativo infatti, la produzione di sigari ad estelì sarebbe probabilmente scomparsa.
All'inizio degli anni 80 la produzione riprese a pieno regime, ma come è avvenuto per Cuba durante l'embargo, anche nel caso del nicaragua i marchi Joya e Rosalones erano nel frattempo stati registrati in USA, pertanto la manifattura dovette creare nuovi brand per il mercato statunitense (Montelimar e Ruben Dario), e potenziare l'export di Joya e Rosalones verso l'europa ed il Canada.
Un'altro ostacolo, forse il più importante, era però imminente, con l'inizio della guerra civile, nel 1984, due effetti nefasti colpirono la manifattura. In primis gli USA imposero un embargo totale sui prodotti nicaraguensi, e le fabbriche si svuotarono parzialmente, poichè rimasero solo le donne e  i bambini per continuare la produzione, mentre gli uomini erano impegnati a combattere sul fronte interno. Finita la guerra civile (1990) le fabbriche statali vennero riprivatizzate, inclusa la manifattura di Joya, tuttavia, il mercato USA, nonostante la fine dell'embargo, sarà ancora precluso per qualche anno. Nel 1994, dopo l'acquisto della manifattura da parte della Tabacos Puros de Nicaragua di proprietà di Alejandro Martinez Cuenca, Joya de Nicaragua torna sui mercati USA, ma per un certo periodo dovrà coesistere con il marchio "Joya", prodotto in Honduras (vedere foto di due scatole a confronto).
Nel 1995, altro anno fondamentale per la produzione del paese, iniza il cosiddetto Cigar Boom, aprono decine di manifatture in Nicaragua, nella zona di Estelì, e l'industria del sigaro, con relativo indotto, trova nuova linfa per crescere e svilupparsi. Nel 1998 Cuenca vince la battaglia legale per l'esclusività del marchio Joya negli stati uniti, ma nemmeno un anno dopo l'uragano Mitch devasta il paese, provocando seri danni a centinaia di migliaia di persone e a quasi tutte le piantagioni di tabacco. Non tutto il male viene per nuocere però, a seguito dell'uragano infatti, anche molte delle produzioni degli anni a venire non furono eccellenti, a causa della virulenza delle malattie (muffa blu su tutti, che nel 1999 fu particolarmente epidemica proprio in Nicaragua). Questo diede un ultimo impulso fondamentale nello sviluppo del paese. I produttori di tabacco si resero conto che dovevano iniziare a selezionare varietà resistenti alle malattie, e pian piano acquisirono il know how per la selezione varietale, che ha portato il paese a passare dalla semina di sola semilla cubana, come si era fatto fino a quel momento, alla creazione e miglioramento delle proprie varietà, prima selezionate per la resistenza, e successivamente per qualità e caratteristiche organolettiche, incrementando diffusamente il livello dei sigari nicaraguensi.
Nel 2001 viene lanciata la serie Antano 1970 voluta da Cuenca, che riporta di diritto il nicaragua nel gotha dei sigari "full body", nel 2004, joya entra per la prima volta nella top 25 di Cigar Aficionado, grazie alla linea Celebraciòn, creata per commemorare il decimo anniversario dal passaggio del marchio sotto il controllo di Cuenca. Nel 2008, Joya stringe un accordo commerciale con Jonathan Drew,  e tramite la rete commerciale Drew Estate, espande ulteriormente il suo export verso gli Stati Uniti.
nel 2009 la fabbrica viene rinominata in Joya de Nicaragua, Tabacos Puros de Nicaragua S.A. come riconoscimento al core brand della manifattura. Quello che successe dopo è storia recente, Joya lancerà diverse nuove linee, tra cui Antano Dark Corojo, Cabinetta, Red, Rosalones, Cuatro Cinco e CyB (quest'ultimo eletto numero 1 nella classifica 2012 di halfwheel) .
Il Paese, dagli albori della tabacchicoltura ad oggi ha conosciuto periodi floridi ed altri difficili, e durante questi ultimi l'industria del sigaro ha saputo trarre i giusti insegnamenti per continuare a produrre ed incrementare la qualità. Oggi Estelì è una delle più importanti capitali mondiali del sigaro e Joya de Nicaragua è una manifattura di dimensioni medie, rispetto ad altri grossi produttori che fanno sigari nella stessa zona. Tuttavia, é l'unica manifattura che ha osservato dalla finestra tutta la storia del paese, senza mai delocalizzare la produzione, anche nei periodi difficili (altri marchi come Padròn, che pure esiste in nicaragua dal 1967, furono costretti a spostarsi durante il periodo sandinista e quello dell'embargo) , e possiamo senz'altro affermare che senza il baluardo di Joya probabilmente il paese non avrebbe raggiunto oggi i livelli produttivi che tutti abbiamo modo di apprezzare.



Nessun commento:

Posta un commento