21 ottobre 2015

Il Momento Giusto per accendere un Sigaro

Claude Monet - Impression: Soleil Levant
Carmelo Bene diceva: “La vita non ha senso, e quindi perché l’arte dovrebbe averne?”. Accade un po’ la stessa cosa nel nostro mondo, quello dei sigari, se mi fate passare uno dei miei soliti paragoni azzardati. Scientificamente parlando, in effetti ha ragione. La vita viene ritenuta una commistione di eventi caotici e reazioni casuali. Ma in realtà, provando a scomporre la nostra esistenza noteremmo che la totale aleatorietà di ciò che ci circonda sia data dalla somma di momenti che di per loro, di senso, ne hanno eccome. Non voglio filosofeggiare troppo, però credo
che sia uno spunto di riflessione interessante, dato che troppo spesso accendiamo un sigaro pensandoci, forse, troppo poco.
Non siamo nuovi al fatto che “il tutto sia più della somma delle sue parti”. Se riflettiamo bene, dato un insieme chiuso, ogni parte che lo compone presa singolarmente manca di quella sinergia, quella correlazione con il tutto. Del resto, per il paradosso di Heisenberg, non esisterebbe il movimento: egli infatti asseriva che il movimento è dato dalla successione di infiniti stati di quiete. La pellicola cinematografica funziona in questo modo. Tante piccole fotografie che si susseguono in un tempo talmente irrisorio, che la nostra retina non riesce a distinguerle. Ma il movimento esiste eccome, perché è qualcosa di più dei suoi elementi presi singolarmente.
Tutto questo cappello introduttivo per dire in realtà una cosa molto semplice. Fumare un sigaro non è prendere del tabacco arrotolato, accenderlo e aspirare i suoi effluvi. Sarebbe nichilista anche solo il pensarlo.
Ma io non sono qui per fornire alcuna risposta. Non esiste un momento giusto per arderlo, non esiste una ricetta universale su quando questo debba essere fatto. Non esiste nemmeno una sorta di regola non scritta, una consuetudine, una risultante olistica. Perché chi fuma non lo fa con la testa, e nemmeno col cuore. Lo fa, e basta… ma mai casualmente.

Apparentemente, sembra che questi ragionamenti, forse troppo nebulosi e archetipici, si annullino a vicenda: prima dico che non c’è nulla di preciso, poi asserisco che la scelta non è mai aleatoria.
In realtà, c’è uno spazio, più o meno definito, di azione. Apro un’altra piccola parentesi: avete presente il dilemma del libero arbitrio? Noi siamo frutto dell’azione divina – qualunque essa sia – e quindi ci muoviamo di conseguenza, oppure abbiamo totale libertà, ma comunque siamo “costretti a vivere”, e quindi non è più totale? Si parla di “spazio vitale”, quello spazio, cioè, dove possiamo muoverci all’infinito come ci pare, ma che rimane delimitato da un confine non oltrepassabile, finito (altro dilemma: se i numeri sono infiniti, ma sono infiniti anche i numeri tra 3 e 4, e tra 12 e 15, ha senso ordinarli?).
Il sigaro si fuma in questa area di libero arbitrio. Ognuno è assolutamente in possibilità di accendersi il suo toscano o il suo caraibico in qualunque momento voglia. E non diventa più, pertanto, mera casualità, ma un bisogno – non in senso nicotinico -, una spinta, un desiderio. Freud parlerebbe di “Principio di Piacere”, una pulsione che dobbiamo cercare di soddisfare per poter star bene, in accordo col “Principio di Realtà”, che limita o dà adito a questa pulsione a seconda del contesto in cui ci si trova.
Per cui, ci sarà chi il suo sigaro lo fumerà per evadere dalla noia quotidiana, quello che vorrà un fido alleato per godersi un tramonto, chi lo brucerà in macchina sperando che il tragitto sia più lungo del solito. Ho conosciuto persone che dovevano rigorosamente avere in sottofondo i Genesis, ricordando i bei tempi che furono, ma anche quelli che riescono a fumarlo solo a lavoro, perché “ha tutto un altro fascino”.
Un mio carissimo amico si fuma un sigaro al mese, che però è appena appena un Esplendidos. Ma c’è anche chi fuma solo la domenica dopo un pranzo luculliano, e chi li fuma tutti i giorni, magari uno dopo l’altro.
Personalmente, io sono uno di quei pensatori che non è schiavo della quotidianità, e neppure delle ricorrenze, di quei momenti di festa dove “non puoi non fumarlo”. Non sono schiavo della compagnia, né della solitudine, dei prodotti di alta gamma, né del giudizio degli altri.
Non ho detto due cose. La prima è che il nostro “spazio vitale”, chiamato in inglese “comfort zone” – forse meglio da usare visto che la prima terminologia ricorda un folle piano dittatoriale – si può sempre ampliare.
In secondo luogo, lo so che qualcuno starà sorridendo, qualcun altro avrà già riso a crepapelle leggendo il mio articolo, pensando che magari mi sia fatto di chissà quali allucinogeni.
Niente di tutto questo. Mi sta accompagnando nella redazione di questo scritto solo un ottimo Macanudo.
Perché nella mia comfort zone c’è l’utilizzo del sigaro come veicolo per raggiungere uno stato di consapevolezza maggiore del mondo che mi circonda, un’elasticità mentale che mi può dare solo la contemplazione delle spire che si avviluppano salendo verso il cielo. Pensieri filosofici, etici, morali, sentimentali, storici, letterari, dei sani valori quali l’amicizia, il rispetto e l’onestà. Il futuro, lo studio, ciò che mi fa star bene, senza toni paternalistici o di facile appiglio.
Chi non ha mai pensato alla meraviglia o alla tragedia del mondo, allo spirito, all’estetica, all’amore, a dio, seduti sulla panchina del parco o in balcone, con la luce soffusa del tardo pomeriggio?
Vedete?! Per me il sigaro è questo, o meglio: anche questo! Perché ogni tanto ho bisogno di un ammezzato da fumare spensieratamente mentre sono in bicicletta, oppure quello leggero da gustarmi quando bevo una birra con gli amici o esco con una bella figliuola (nonostante dopo quello che ho scritto possa sembrare che ciò non avvenga mai – leggasi autoironia, grazie al cielo). E questo perché non parliamo solo di tabacco arrotolato, ma di un tutto che è più della somma delle sue parti.

Forse questa mia riflessione non ha modo di esistere, forse sono totalmente fuori strada. Ma se la vita è senza senso, perché questo scritto dovrebbe averne?

4 commenti:

  1. :-))) Mi piacciono queste divagazioni in cui i tabacco diventa simbolo e metafora... Forse perché mi diverto a scriverne anch'io, assicurando ai lettori che fumo, appunto, solo tabacco...

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