Addio, mia povera tabacchiera;
Addio, non ti vedrò più;
Né sogni, né lacrime, né preghiere,
Ti faran tornare da me; le mie forze sono perdute.
Addio, mia povera tabacchiera;
Addio, non ti vedrò più;
Né sogni, né lacrime, né preghiere,
Ti faran tornare da me; le mie forze sono perdute.
Addio, mia povera tabacchiera;
Addio, dolce frutto dei miei scudi!
E se col denaro ti posso riscattare,
Piuttosto andrò a vedere i tesori di Pluto.
Ma non è questo il dio da implorare.
Per riaverti, ahimè! Si deve pregare Febo…
Che ci separa con dura barricata!
Dei versi mi chiedono! Ahimè! Non ce la faccio più.
Addio, mia povera tabacchiera;
Addio, non ti vedrò più.
E se col denaro ti posso riscattare,
Piuttosto andrò a vedere i tesori di Pluto.
Ma non è questo il dio da implorare.
Per riaverti, ahimè! Si deve pregare Febo…
Che ci separa con dura barricata!
Dei versi mi chiedono! Ahimè! Non ce la faccio più.
Addio, mia povera tabacchiera;
Addio, non ti vedrò più.
Adieu, ma pauvre tabatière, addio, mia povera tabacchiera. Quando Voltaire scrisse questo verso e
gli altri tredici che seguono a sciogliere un insolito malinconico dolceamaro canto di addio non era ancora
Voltaire. O almeno non era quel Voltaire che siamo abituati a conoscere fra i
banchi di scuola.
È giovanissimo, appena uno studentello che però già si è fatto notare
per il suo acume, e non solo. Possiamo immaginare che stavolta, mostrando alla
classe il suo tesoro, la pauvre tabatière
della poesia, forse esageri. Perché stavolta attira l’attenzione anche del père Porée, un gesuita suo insegnante
che possiamo immaginare severo e arcigno. In un attimo gli confisca il suo
tesoro. Adieu, je ne te verrai plus,
Addio, non ti vedrò più.
In un attimo sembra tutto perduto. Se mi chiedi in versi di restituirti
il tuo tesoro, beh, te lo restituisco, possiamo immaginare che il père Porée gli abbia detto. Non era una
novità che i suoi insegnanti lo mettessero alla prova, perché già da tempo
intuivano di aver di fronte Voltaire. E Voltaire anche stavolta li accontenta e
dopo nemmeno un quarto d’ora è già pronto a snocciolare i versi del suo canto
di addio.
Se possiamo immaginare questa scena con tanta libertà e tanto trasporto
affettivo è solo perché appartiene a un “a parte” intimo e nascosto della vita di Voltaire. Un “a parte” non
imbrigliato né scandagliato dalle grandi trattazioni di storia, letteratura o
filosofia. La tabacchiera e il sigaro e il fumo lento in generale, un
passatempo insolito malinconico
dolceamaro a sua volta intimo e
nascosto, o da coltivare semmai con pochi e buoni amici, lontano dalle “coincidenze, le prenotazioni,/ le trappole, gli scorni di chi crede/
che la realtà sia quella che si vede.”, per usare le parole di Montale. Perché
la realtà ha molte facce e davvero non è quasi mai quella che si vede. Il fumo
lento rallenta il tempo e la realtà si lascia corteggiare e forse alla fine ci
concede di vedere un briciolo di verità. E anche il giovanissimo Voltaire lo
sapeva.
Bel contributo! Un guest author da tenere molto caro.
RispondiEliminaBenvenuto e complimenti a Stefano per questo post molto molto interessante, che eleva il Blog oltre che ad importante area di incontro sul mondo dei sigari, anche a scambio culturale e di idee!
RispondiEliminaBen vengano queste iniziative che sono da parte del nostro staff sempre apprezzatissime...in attesa della prossima ;)